venerdì 18 gennaio 2008

Fuori, il deserto

Eravamo saliti insieme per le scale che dal piano del Centro di Calcolo portano al piano terra dell'azienda.
A., il capocentro, doveva andare nel suo ufficio, al piano superiore; io mi accingevo ad uscire, per tornare alla mia sede; avevamo appena finito di pianificare l'intervento del successivo sabato mattina, nel quale avremmo dovuto sostituire diversi hard disk in un rack di un server.
Il discorso che facevamo adesso era partito dalla sua insofferenza nel fare un lavoro in cui più che la tecnologia aveva importanza la politica locale: l'attività che svolgeva non lo gratificava più. Da parte mia, meno sensibile ai vincoli di una 'mission' aziendale, ero rimasto malissimo quando, dopo avergli detto quale era il mio stipendio, avevo ricevuto il suo commento sorpreso e amaro: "Ma ti dovrebbero dare almeno il doppio!".
E così eravamo rimasti, lui un piede sul primo gradino della rampa di scale che portava al piano del suo ufficio, io sull'ultimo della rampa che dal Centro conduceva al corridoio d'uscita, a lamentarci del nostro presente, incapaci di andarcene.
"Mi sembra di essere il tenente Drogo", aveva bisbigliato A., la testa bassa, rivolto verso di me che ero un mezzo metro sotto, ma quasi parlando con se stesso. "Già " gli risposi io facendo un ampio gesto con un braccio "questa è la fortezza Bastiani e fuori, forse, ci sono i Tartari".
Ci fu un attimo di silenzio, lui si era stupito che gli avessi risposto a tono, io che avesse citato il Deserto dei Tartari. Ci sorridemmo, complici: dunque al mondo c'era addirittura chi leggeva Buzzati e, dopo decenni, lo ricordava ancora. Ci stringemmo la mano, nel salutarci, più calorosamente del solito: chi lo avrebbe detto, pensavo mentre uscivo, che un "informatico" fosse un appassionato lettore. Lui, risalendo, avrà pensato senz'altro la stessa cosa.

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