Il primo incontro con il Made in China l’ho avuto poco più di otto anni fa. Una consegna di PC Compaq non voleva saperne di configurarsi in rete. Dopo i test software di routine, e dopo che il responsabile dell’assistenza tecnica della nostra azienda ebbe verificato e riverificato il tutto, senza venirne a capo, decidemmo di smontare, pezzo per pezzo, le schede di un PC e sostituirle, una per volta, con quelle di uno dello stesso modello, un po’ più vecchio ma funzionante.
Il lavoro, paziente, dette i suoi risultati: una daughter-board nel nuovo PC non funzionava, nel vecchio, sì. E così per tutti i nuovi PC consegnati.
Le schede-figlie, ad un esame attento, erano assolutamente identiche tra loro; come era possibile una cosa del genere? Poi la nostra attenzione fu attirata da un particolare che ci era sfuggito: le vecchie schede riportavano, serigrafata, la dicitura: “Made in Singapore”, a cui eravamo abituati da tempo; le nuove schede, invece, erano “Made in China”. Ci facemmo sostituire da Compaq tutte le daughter-board.
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