Spostando alcune riviste, per far spazio nel caos delle librerie che ci affollano casa, poco fa ho ripreso tra le mani il volume, di dimensioni veramente enciclopediche, del corso di Calcolo delle Probabilità.
E mi sono ricordato, all'improvviso, della scena dell'esame del carissimo Alessandro P., decenni fa.
Con Alessandro eravamo amici dal primo anno del liceo: condividevamo la passione per i fumetti, per Guccini, per la musica classica, per la matematica. All'università ci eravamo iscritti a due corsi diversi, a Matematica io, a Fisica lui; ma dopo un anno ci eravamo resi conto, entrambi, che l'astrattezza dei due corsi non faceva per noi: passammo insieme ad Ingegneria Eletttronica.
Il corso di Calcolo delle probabilità ci fece ripiombare nello sconforto: teoria e solo teoria; non riuscivamo veramente quasi a capire di cosa si stava parlando.
Decidemmo di fare uno sforzo supplementare: ci impegnammo per alcuni mesi, alla fine dei corsi, in estate, per studiare come pazzi: dovevamo superare quell'esame (tra l'altro, sbarrante per quelli del triennio) in qualunque modo, con qualsiasi voto, a costo di imparare il libro a memoria.
L'esame era costituito da uno scritto, se si superava un certo voto, si poteva accettarlo o andare all'orale per 'migliorarlo'; se si era sotto ad una certa soglia, si doveva per forza andare all'orale.
Alla fine di ottobre, la prova: io mi accontentai del voto guadagnato superando lo scritto, ad Alessandro andò peggio e si dovette presentare all'orale.
L'aula era affollata, almeno una cinquantina di persone; l'esame si svolgeva con il candidato chiamato alla lavagna a risolvere vari problemi.
Nella commissione non c'era, quel giorno, il titolare del corso, il prof. Prati; in sua vece il prof che era stato, durante l'anno, il nostro docente di Elettronica generale. Meno freddo e formale del collega, da un punto di vista umano l'amico era senz'altro avvantaggiato.
L'esame di Alessandro non andava granché bene, ce ne rendevamo conto tutti. Ogni tanto mi lanciava uno sguardo, disperato. Non c'era niente da fare.
Il prof. gli fece allora una domanda complessa, per dargli il colpo definitivo e chiudere l'interrogazione. Alessandro tentò la carta: "Professore, so come risolverlo, ma non mi ricordo la formula". Io, in prima fila, non sapevo dove guardare; una scusa così te la puoi aspettare da un bambino delle elementari, di prima media forse, ma non da un futuro ingegnere!.
Il professore lo guardò sorridendo; Alessandro sorrise anche lui, sotto i baffi tra l'Einstein ed il Nietsche, "Se me la detta.... " e si atteggiò, col gesso in mano, a scrivere sulla lavagna " è la 6.63 di pagina 202 del Papoulis" continuò.
"Perché, lei sa i riferimenti delle formule a memoria?" "Certo, professore".
Il prof aveva accettato la sfida. "Bene, datemi un Papoulis, se ha ragione lei, gliela detto"
Alessandro mi dette un'occhiata maliziosa: gli risposi sorridendo, complice: le formule del libro le conoscevamo tutte e, come i pazzi delle barzellette, durante i mesi di preparazione degli esami, le sapevamo indicare con i loro riferimenti tipografici, specie le più complesse. E la 6.63 era tra le più complesse.
Il professore sfogliò il libro "Figlio d'un cane, ha ragione!" si lasciò sfuggire, sorpreso; la platea sghignazzò. "Scriva..." e gli dettò la formula. Alessandro a questo punto si riprese; quella formula e le sue varie implicazioni erano il nostro cavallo di battaglia. Risolse il problema, lo commentò nei suoi vari aspetti, gigioneggiando.
Il professore era rimasto sorpreso e divertito.
"Le va bene un diciotto?" "Firmi qui!" rispose d'un fiato Alessandro, tirando fuori il libretto in un lampo.
Ci fu l'applauso.
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