"Ho finito di leggere La strada di McCarthy" dico a mia moglie.
"E chi è?" mi chiede lei.
"Un famoso autore americano, nato nel '36. La storia ti piacerebbe: è una vicenda che si svolge in un mondo post-catastrofe, tra ruderi di città morte e pochi uomini ridotti a sopravvivere nel freddo, fra stenti, fame e cannibalismo. Una scrittura secca, con la speranza che l'umanità degli individui sopravviva alla distruzione quasi totale. Due personaggi principali e tanta solitudine."
"Non credo che leggerei più un libro di narrativa" mi fa lei, alzando la testa dalla scrivania piena di pubblicazioni del Foscolo e sul Foscolo.
"Al massimo potrei fare come il maestro Fixlein di Jean Paul, che si scriveva i libri da solo perché era troppo povero per comprarli."
Io, come spesso accade, ci sono cascato. Ho fatto finta di nulla e mi sono messo a cercare, in rete, chi fosse questo maestro Fixlein e ho scoperto che del racconto La vita di Quinto Fixlein non ci sono, facilmente reperibili, versioni in italiano; mi sono anche imbattuto in un vecchio (1998) articolo di Repubblica dove ci si lamenta, appunto, che della Isabella Allende si può trovare l'opera omnia in ogni angolo, ma che certi autori (Klopstock, Juan Valera, Karel Hynek Macha ) [che, sia detto a onor del vero, non so neppure, per ora, chi siano] sono assolutamente irreperibili in traduzione italiana.
Alla fine ho trovato un volume che contiene anche il racconto di Jean Paul Richter, ma in una traduzione inglese, addirittura di Thomas Carlyle.
Testardo e speranzoso di capirci qualcosa, ho scaricato e stampato il libro (eh, sì, al solito, sono un gutenberghiano...) e ora, piano piano, cercherò di leggerlo.
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