Ieri pomeriggio sono rientrato a casa da lavoro un po' prima: un mal di testa, iniziato a mezza mattina, si era via via acutizzato sino a rendersi insopportabile. L'usuale dolore alle tempie, vagamente pulsante, era diventato un dolore bruciante 'a taglio' nella zona del cervelletto. Un segnale che conosco bene e che mi indica, dall'infanzia, che il mio stomaco ha impellente necessità di svuotarsi.
Ho lasciato rapidamente l'ufficio e, giunto a casa dopo una ventina di minuti, ho cominciato le mie ore di sofferenza. Come ho detto, conosco i sintomi: vomito ed altro a più riprese, pause di quasi totale incoscienza e assopimento su un letto, di nuovo dolore a taglio e stimoli di vomito etc. Il tutto, di solito, va avanti per alcune ore, sino all'alba, poi mi addormento stremato e nella tarda mattinata del giorno dopo l'inizio della sofferenza comincio di nuovo ad andare, spossato, in giro per la casa, a prendere un tè leggero etc., per poi riprendermi completamente il giorno successivo.
Niente panico, dunque, all'insorgere dei sintomi di una vaga emicrania che, se non bloccata immediamente con l'uso di naprossene sodico, sfocia in questa casistica invalidante.
Unico aiuto e sollievo in queste situazioni è costuito da un termoforo elettrico ben caldo appoggiato sullo stomaco, calore che mi facilita l'assopimento nelle fasi di tranquillità e rende meno penoso e lungo l'iter dell'attacco.
Ieri stessa prassi, solo che invece di andare a letto mi sono sdraiato sul divano nello 'studio' di mia moglie, un po' per sollecitarne l'amorosa compagnia, un po' perché è la stanza direttamente di fronte a quella da bagno.
Per due o tre volte le cose sono andate come detto sopra: corsa al bagno, riassopimento sul divano col termoforo sullo stomaco, sveglia con dolore alla testa, corsa al bagno etc..
La terza (o quarta) volta durante il dormiveglia ho sentito un vago fastidio sullo stomaco, come se la maglietta di cotone mi si fosse sollevata e il termoforo mi stesse scaldando un po' troppo. La molestia sulla pelle si è fatta così acuta che mi sono svegliato; la mano è corsa a toccare il termoforo sentendo un forte dolore e ho aperto gli occhi.
E' stato in quel momento che ho preso fuoco.
Sì, letteralmente: dalla giacca della tuta che indossavo si sono alzate le fiamme, sette od otto centimetri di altezza. Ho immediamente fatto volare il termoforo in mezzo alla stanza, sul tappeto, mi sono sbarazzato del piumone che mi copriva e mi sono dato un paio di colpi violenti, a palmo aperto, sulla giacca. Le fiamme, per fortuna, si sono spente subito.
Nel fare tutto questo non ho avuto il tempo neppure di chiamare mia moglie, che è però accorsa dall'altro capo della casa allarmata dall'incredibile odore di bruciato che aveva invaso tutti gli ambienti: il termoforo, per un corto circuito, si era quasi completamente bruciato, consumato a 'fuoco morto'.
Non ha capito subito cosa fosse successo, preoccupata che non le avessi danneggiato il costoso tappeto, nuovo, di cui andava così fiera; verificato che non c'era nessun danno si è messa ad aprire le finestre in tutte le stanze (io ero ancora con la mia nausea acuta, la pancia e una mano leggermente ustionate); poi le ho fatto vedere il buco nella giacca e allora ha realizzato, rimanendo stupefatta; alla fine mi ha redarguito, più o meno scherzosamente: non ero ancora così vecchio da fare la fine del novantenne che si dà fuoco con la termocoperta, badassi bene a me!
Io mi sono cosparso la pelle di foille e sono andato a leccarmi le ferite in un'altra stanza, dove la consorte amorevole mi ha però raggiunto dopo pochi minuti, con un cambio completo di indumenti, un piumone nuovo e una vecchia, classica e sicura borsa dell'acqua calda.
Adesso il mio stomaco sta bene, la mia mano non mi dà più fastidio ma per la casa aleggia ancora un vago odore di bruciato.
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