Ci volevano degli orientali per darci una bella lezione di civismo.
Liberato dalla prigionia, il gruppo di Sud Coreani ha pubblicamente chiesto scusa al proprio Stato per averlo messo in difficoltà; il gesto ha fatto notizia.
Quanta distanza dai rientri da vincitori cui abbiamo assistito in questi anni, da parte di nostri connazionali 'rapiti' all'estero: giornaliste e giornalisti, fotografi e giovani ragazze 'in missione di pace', accolti tutti trionfalmente, le facce con il sorriso da flash pronto per i media. Lo Stato ha pagato per loro, lo Stato ha fatto lavorare il proprio 'intelligence', servitori dello Stato sono morti per loro. Avete sentito qualcuno che ci chiedesse scusa? No, è tutto assolutamente dovuto; eppure, con questa nostra formazione culturale cattolica il perdono, se ce lo chiedono, non lo neghiamo a nessuno, neanche a un brigatista assassino.
Neppure il padre missionario nelle Filippine ha chiesto scusa ('il gigante buono è molto dimagrito'); ha avuto i suoi bei passaggi televisivi ed anche un incontro con il Papa. Chissà se Benedetto XVI gli ha ricordato quella estrema forma di testimonianza che la Chiesa cristiana chiama martirio, la morte cioè per motivi di fede. E' certo che i militari che sono morti negli scontri a fuoco durante i tentativi di rintracciarlo e liberarlo non sono martiri, perché sono solo morti per fare il proprio dovere.
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