Mio nonno materno era appena un ragazzino quando il suo unico fratello più grande, Annibale, partì per il fronte.
Mi ricordo solo un episodio che mi ha raccontato su di lui: durante una licenza il fratello granatiere era tornato a casa emaciato, stanco, affamato, già preso di mira da una malattia polmonare che lo avrebbe mietuto insieme a centinaia e centinaia di migliaia di altri soldati.
La loro mamma, ovviamente, aveva imbandito la tavola, per farlo mangiare, quel suo povero figliolo, e aveva apparecchiato per tutta la famiglia, che era, come succedeva allora in campagna, numerosissima.
Mio nonno raccontava, dunque, che finita la sua porzione, il fratello non accennò neppure a chiederne ancora, rispettoso dei tanti fratellini e sorelline che erano seduti, affamati anche loro, accanto a lui.
E, con gli occhi umidi, mio nonno ricordava il dispiacere e il dolore della mamma che si era accorta solo in ritardo che quel suo ragazzo non aveva più niente da mangiare: la povera donna se ne fece quasi una colpa a cui cercò di rimediare, chiedendogli più e più volte scusa mentre gli riempiva il piatto.
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