mercoledì 27 agosto 2008

I cento fiori

Lo scorso venerdì mattina Paolo Longo, giornalista RAI, raccontava la China, per RAI News24.
Diceva, il corrispondente, che gli occidentali (i non-chinesi, cioè) si erano lamentati con l'amministrazione locale per l'impossibilità di presentare reclami e proteste, a causa delle ferree regole del regime totalitario. Presa in considerazione questa segnalazione, l'amministrazione Chinese è venuta incontro alle loro richieste, istituendo un apposito ufficio. Questo ufficio è stato delegato a ricevere le lamentele e, se ne avesse dato approvazione, visti e timbri, il richiedente avrebbe potuto presentare una protesta ufficiale.

Diceva, Longo, che erano state fatte alcune centinaia di queste richieste e che nessuna era stata approvata. Di più, aggiungeva, qualche malcapitato chinese che aveva seguito la strada degli 'occidentali' era stato addirittura denunciato e di due vecchi, arrestati ipso facto, non si sapeva più nulla.
L'intera vicenda è stata raccontata con un tocco di leggerezza tale da farla sembrare quasi inverosimile e, al di là della mera esposizione dei fatti, né il giornalista né chi era presente in studio ha arrischiato un commento.
A me ha fatto venire in mente, e chissà perché non al giornalista, esperto sinologo, il periodo dei "Cento Fiori" di Mao, circa cinquanta anni fa.
Con una mossa che adesso diremmo democratica, il Ministro della Propaganda chinese, a seguito di alcuni riferimenti di Mao al Taoismo, lanciò come slogan: Che cento fiori sboccino, che cento scuole rivaleggino, frase, appunto, di un filosofo taoista. Era un segnale formidabile: tutti erano dunque invitati a dire la propria opinione, a suggerire e a criticare!
Ci fu in tutta la China, allora, un sobbollire di proteste, di denunce scritte, di segnalazioni, da parte di frange di dissidenti, di studenti universitari, delle varie amministrazioni statali ma, anche, dall'Interno dello stesso Partito Comunista Chinese e addirittura contro il Grande Timoniere.
La situazione, sfuggita al controllo, rischiava di travolgere l'élite al potere e allora il Partito passò al contrattacco. Secondo lo schema classico dei regimi totalitari, ai contestatori, comunisti e non, accusati di essere nemici del popolo venne imposto di ritrattare e autoaccusarsi, poi, a decine e decine di migliaia, furono spediti nei campi di rieducazione, alcuni anche fucilati.
L'operazione consentì insomma di depurare la nazione da tutti i non allineati che si annidavano nella struttura statale e che, ingenuamente, avevano sottoscritto proteste e da-ze-bao.

Peccato, che durante il servizio televisivo, niente di tutto questo sia stato ricordato.

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