Affari di famiglia.
Da mesi, grazie all'avvento della TV digitale, ho abbandonato i soliti canali TV. Stanco di conta favole di economia e di politica che da decenni annaspano nella loro ignoranza per galleggiare sulle spalle di noi tutti; deluso dai talk-show in cui i politici [...omissis...], mi sono rifugiato nella TV di evasione.
I canali 38 (Giallo) o 39 (TopCrime) sono accesi in maniera continuativa e bevo un telefilm giallo dopo un altro, non importa se già visto, senza provare la minima vergogna di questo mio qualunquismo.
Oltre ai due canali sopra detti, spesso sono anche sul 26 (Cielo) dove mi beo degli Svuota cantine, del Boss del fai da te e di Affari di famiglia.
Ed è proprio di Affari di famiglia che sto leggendo in queste notti.
Sì, leggendo, perché Rick Harrison, protagonista di Pawn Stars con suo padre (the Old Man, il Vecchio), suo figlio Corey (the Big Hoss, lo Smilzo) e il fido e maltrattato Austin Russell (Chumlee), ha di recente scritto, in collaborazione col giornalista Tim Keown, un libro in cui racconta i retroscena dell'attività di famiglia.
Harrison inizia descrivendo l'infanzia difficile costellata da attacchi di epilessia, la scuola abbandonata troppo presto, la droga, gli affari, strampalati ma redditizi, del padre, la sua paternità precoce e un matrimonio subito andato male, il trasferimento della famiglia a Las Vegas e poi si addentra nei dettagli, sia economici che di vita quotidiana, dell'attività commerciale.
Dentro il racconto ci sono i personaggi che vediamo in TV, molti aneddoti della loro vita in un negozio di pegni che sta aperto 24 ore su 24, e poi politici locali, polizia, criminali, pervertiti e varia umanità che frequenta il Gold and Silver, spesso unica fonte possibile di denaro contante per alimentare i propri vizi, qualche capriccio improvviso oppure per pagare lo stipendio ai propri dipendenti.
Con la produzione del reality, uno dei più seguiti in USA, la famiglia Harrison si è trovata all'improvviso nella notorietà e i loro affari si sono incrementati a dismisura: da venti i dipendenti sono aumentati a quarantasette, il magazzino trabocca di merce e tutti, tranne Il Vecchio, vanno in giro per gli USA ospiti in serate pagate profumatamente.
In TV vengono trasmesse solo le trattative di acquisto di oggetti rari o curiosi: la pistola di fine settecento, le stecche da biliardo di un noto campione, una gigantesca collezione di transformer, le foto autografate di noti attori che negli anni '50 e '60 frequentavano Las Vegas; il lavoro maggiore viene svolto però sul prestito temporaneo, oggetti personali ceduti per un breve tempo in cambio di contante e di un rateo di interesse mensile del 10%; per le norme sulla privacy la TV americana non può riprendere queste trattative.
L'umanità che esce fuori dal libro è multiforme e il carattere delle persone in parte ricalca i personaggi che vediamo in TV ma con un indubbio spessore morale.
Quasi una tipica storia americana dunque, un from rags to riches, nel filone dei romanzi ottocenteschi di Horatio Alger, vissuta però apertamente davanti ai mass media.
La lettura è divertente e istruttiva e la storia prende immediatamente; l'aver visto in TV i personaggi ovviamente aiuta molto.
Il motivo più importante per cui sto leggendo il libro è quello di affrontare una delle mie periodiche letture in lingua inglese; trattandosi di uno stile narrativo molto discorsivo non sono molti i casi in cui consulto il vocabolario inglese del Kindle; certo ogni tanto mi imbatto in americanismi di cui devo andare per forza a vedere il significato.
Di questo passo non finirò di leggerlo che tra tre o quattro notti; l'esercizio di lettura vale comunque la pena.
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