domenica 14 giugno 2009

Un lettore malato


Se non è nel mio patrimonio genetico, sicuramente sono state o le suore, all’asilo, o la mia maestra, alle scuole elementari, a inocularmi certi vezzi che mi porto dietro come impedimenta al mio vivere quotidiano.
Leggere mi piace, ma difficilmente leggo autori viventi: la ritengo una perdita di tempo e penso che il vino novello sia un’inutile invenzione per consumisti dal palato non educato; talvolta faccio delle eccezioni, ma il solo leggere, o sentir dire “E’ uscito l’ultimo libro di…” o “Sto leggendo il secondo volume della trilogia…” mi procura un tale fastidio, dirò di più, una definitiva insofferenza per quell’autore o per quel suo libro, che automaticamente lo bandisco dai miei percorsi di lettura.
[Da alcuni mesi, ad esempio, ho un librone giallo pronto alla lettura per i momenti di svago puro; ho scoperto però che è un best seller che leggono anche i miei colleghi e che adesso ne hanno fatto un film di successo, motivi più che sufficienti per farlo coprire di polvere e poi nascondere quanto prima in qualche alto scaffale, in una seconda fila.]
Ecco quindi che le mie letture sono sparse, non educate e anche inutili al mercato editoriale, visto che pesco spesso da bancarelle di remainders o di libri usati; non mi comporto da consumatore e questa condotta non la giudico snobistica, ma quasi un riflesso condizionato. Il nome di una grande firma di best sellers americani mi fa lo stesso effetto di un maglione di lana: non riesco a indossarlo e addirittura il solo parlarne, come sto facendo adesso, mi mette in moto, involontariamente, tutti i muscoli pellicciai.

E’ una vita dura, lo so, ma come tutti i malati di mente mi considero perfettamente sano e non ho voglia di vedere un dottore e, tantomeno, di guarire.

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