Sono figlio di un minatore: le storie di miniera fanno riaffiorare molti ricordi della mia infanzia; anche le sole 'commemorazioni' delle tante disgrazie, seppure lontane nel tempo e nello spazio dalla vita della mia famiglia, nella zona delle Colline Metallifere maremmane, hanno il potere di colpirmi emotivamente.
Nella miniera di carbone Bois du Cazier, a Marcinelle, in Belgio, sessanta anni fa accadeva un disastro terribile.
Riporto di seguito alcuni estratti dal libro di Paolo Di Stefano, La Catastròfa. Marcinelle 8 Agosto 1956, Palermo, Sellerio, 2011.
Verso le otto del mattino l’azzurro cominciò a oscurarsi, nuvole di fumo denso salivano dai pozzi del Bois du Cazier e le donne lasciarono le baracche, presero per mano i bambini ancora assonnati per precipitarsi al cancello della miniera con l’angoscia negli occhi, nel cuore, nelle gambe, nelle mani con cui tenevano le mani dei figli. Sotto i loro piedi le fiamme avevano già attaccato le porte e le armature di legno delle gallerie, ma questo per il momento potevano solo intuirlo. Non potevano sapere che a 975 metri due vagonetti (uno pieno di carbone e l’altro vuoto) male inseriti nell’ascensore in movimento avevano divelto due-tre metri più in alto le condutture dell’olio, i tubi dell’aria compressa e i cavi dell’alta tensione, scatenando il fuoco.
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Marcinelle, Belgio, 8 agosto 1956, la Catastròfa (nell’espressione metà dialetto metà francese) è l’incendio scoppiato a 975 metri sottoterra in una miniera del distretto carbonifero di Charleroi. 262 morti, 136 immigrati italiani, caduti per un banale accidente ma uccisi soprattutto dall’imprevidenza premeditata, dalla mancanza di misure protettive e dalla disorganizzazione.
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Dei 274 lavoratori saliti sulle gabbie per cominciare il turno del mattino nei vari livelli sotterranei, 262 (di cui 136 italiani) non ne sarebbero usciti vivi.
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Non vedono, quel giorno, né mai vedranno, il Presidente del Consiglio Antonio Segni e il Capo dello Stato Giovanni Gronchi. Semplicemente perché le massime autorità italiane hanno deciso di rimanere a Roma.
Perché lo stato italiano aveva organizzato il trasferimento di tanti lavoratori disoccupati in Belgio?
Era stato il Governo italiano, dieci anni prima, il 15 marzo 1946, a firmare un accordo con Bruxelles in cui si definivano «le condizioni relative all’invio di manodopera italiana in Belgio ed alle forniture di carbone». Quali condizioni? «Per ogni scaglione di mille operai italiani che lavoreranno nelle miniere, il Belgio esporterà verso l’Italia: tonn. 2.500 mensili di carbone, se la produzione mensile sarà inferiore a tonn. 1.750.000; tonn. 3.500 mensili, se la produzione sarà compresa tra 1.700.000 e 2.000.000 tonn.; 5.000 mensili, se la produzione sarà superiore a 2.000.000 tonn.». Un cambio-merci: uomini per carbone. Pochi mesi dopo i nostri ministri si sarebbero impegnati a inviare nei cinque bacini petroliferi belgi duemila minatori alla settimana. Senza chiedere nessuna garanzia di sicurezza sul lavoro. Risultato: dal 1946 al 1963 i morti italiani nelle miniere belghe saranno 867.
"Per 43 giorni il fumo non finiva di sortire ancora che si sentiva la puzza dei compagni morti."
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